Chi non ha mai risposto alla domanda ‘che lavoro fai?’ : sono un fotografo, sono un operaio, sono un programmatore… Non sarebbe meglio dire faccio il fotografo, operaio programmatore. Alcuni pensieri a riguardo dell’essere o del fare un lavoro.
Alla domanda che lavoro fai cosa rispondi?
E’ una domanda che riceviamo centinaia di volte nella nostra vita. Spesso una delle prime che mi viene posta quando incontro qualcuno. Come ti chiami, da dove vieni, cosa fai nella vita. Sono quelle domande standard che si fanno per inquadrare, etichettare, capire una persona. Spesso mi è capitato di essere identificato come il ricco viziato che ha i soldi e viaggia semplicemente perchè non ha nulla da fare. Probabilmente da un certo punto di vista è vero, sono ricco.
Sapere che svolgo un lavoro con il quale mi pago la mia vita è rassicurante. Ma, nonostante le mie risposte, soprattutto in certe aree europee spesso sono stato identificato come spia, nel vero senso della parola. Una persona che non ‘va al lavoro‘ deve aver qualcosa da nascondere. Già vi ho parlato qui della mia fatica a rispondere da dove vengo, inoltre quando dico che non ho un lavoro ‘tradizionale’ i dubbi aumentano sempre di più.
Io cerco sempre di non rispondere chi sono: sono un programmatore, sono un fotografo… primo perchè non mi identifico nella professione, sono molto più complesso. Chi mi conosce se ne è reso conto. Secondo perchè, soprattutto oggi, il lavoro può cambiare in brevissimo tempo, mentre io impiego molto di più a modificare chi sono. Serve energia, studio, dedizione. Il cambio di lavoro può essere dovuto anche fattori esterni, magari contro la nostra decisione. Se mi identifico con il mio lavoro e qualcun altro definisce che non posso più farlo, come faccio io a delegare la decisione su chi sono ad altre persone? Tutto questo è molto pericoloso. Ecco quindi che chi perde il lavoro smarrisce anche la propria identità, una narrazione che mi trova completamente contrario. L’articolo primo della nostra costituzione dice: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro […]. Sono d’accordo che il lavoro è una parte fondamentale della nostra vita, ma non è la nostra vita.
Cambiare professione è semplice?
No. Non è semplice cambiare professione. Si può cambiare datore di lavoro mantenendo e magari implementando le proprie conoscenze. La crescita professionale è sempre cosa buona e giusta. Per il cambio di professione però intendo una modifica radicale di ciò che si fa. Io nella mia vita raramente ho cambiato la professione. Ho spesso cambiato il modo in cui la esercito. Ho cambiato il mio datore di lavoro. Sono anni ormai che cresco, studio e inseguo una tipologia di lavoro che mi permetta di essere libero. Libero di muovermi, di organizzare il mio tempo, di scegliere cosa fare nella vita, la libertà è da tempo il mio obiettivo. Chissà, magari un giorno cambierà.
Cambiare professione richiede un enorme impegno sia mentale che fisico. Fare l’impiegato in ufficio e poi decidere di fare l’agricoltore, il muratore o l’imprenditore richiede impegno, studio, tempo e tanto, tanto lavoro. Lavoro per imparare nuovi concetti, per adattarsi ai nuovi ritmi, per cambiare la propria confort zone e crearsene un’altra. Il cambio radicale è difficile lungo e dispendioso. Se però è ciò che si vuole, meglio attrezzarsi per affrontarlo al meglio.
Perchè spesso siamo ciò che facciamo?
Siamo stati abituati fin da piccoli a rispondere alla domanda: ma tu cosa vuoi fare da grande? Certo, è un cliché, un gioco che si fa con i bambini, li si fa sognare un po’. Però anche quando chiediamo: tu chi vuoi essere da grande? La domanda è intesa sempre nello stesso modo. Fin dall’infanzia siamo abituati a identificare nello stesso modo il ‘chi vuoi essere’ con il ‘cosa vuoi fare’. Logicamente non mi aspetto una risposta filosofica da un bambino di 5 anni.
Secondo me non è chi risponde che deve cambiare atteggiamento, ma chi pone la domanda. Alcune volte i bambini rispondono con lavori che noi adulti riteniamo pessimi, denigranti, da evitare. Se un bambino per esempio ci risponde: lo spazzino. Pensiamo immediatamente: insomma, almeno i sogni devono essere grandi. Ma proviamo a metterci nei panni di una persona che non ha il concetto di denaro, di guadagno per sopravvivere, di arrivare a fine mese, di ricchezza. Un bambino che vede qualcuno che di lavoro fa quello che salta attaccato ai camion. Che vede qualcuno che tiene pulito l’ambiente dove vive. Che veste con un abbigliamento arancione e brillante e non grigio e cupo come tutti quei robot che vanno in ufficio. Non è un lavoro affascinante andare in giro per la città vestito di arancione a bande riflettenti per pulire dalle cartacce che gli adulti buttano a terra?
Da subito siamo abituati ad identificare la nostra realizzazione personale con il lavoro che facciamo. Sarò felice se diventerò come lui. Io preferisco pensare per obiettivi e non per lo strumento che utilizzerò. Il mio obiettivo ad esempio è essere libero. Quindi tramite lo studio e l’esperienza scelgo di fare il lavoro che secondo me mi permette di essere felice. Domani cambio obiettivo, perfetto, posso mantenere il mio lavoro o cambiarlo, ma non cambio me stesso.
Cambiare il modo di pensare per cambiare la realtà
Ormai ci siete abituati, la mia risposta è sempre: è una cosa difficile e complicata da fare. Questo non significa che non dobbiate farlo. Ma attenzione a chi vi dice che cambierete la vostra vita in 21 giorni. Ci sono innumerevoli articoli che ti dicono che se fai una cosa per 21 giorni crei una routine, un’abitudine e poi quella cosa non ti peserà più, diventerà normale, abitudinaria e la farai in automatico. Lo ritengo devastante. Per me quando un’attività diventa normale perde di interesse.
Quando non sento più paura, ansia, gioia, tensione, felicità nel farla perdo interesse nella stessa. Ho provato più e più volte a ‘crearmi’ una mia routine, ma non riesco, non posso sforzarmi a fare qualcosa che proprio non fa parte di me perchè altri lo vogliono, perchè magari è giusto fare così. La condizione preliminare è che devo cambiare il mio modo di pensare e devo esserne convinto. Devo capirne vantaggi e svantaggi.
Prima di cambiare qualcosa nella mia vita devo cambiare il modo in cui penso a quella cosa. Semplice? Sapete la risposta!
Quindi cosa faccio e chi sono?
Faccio tante cose, tutto ciò che mi permette di vivere nomade e di portare il lavoro con me. Mi occupo di fotografia. Non mi piace dire che faccio il fotografo perchè ho troppo rispetto per i fotografi seri. Faccio parte di un’associazione NESSUNO[PRESS] dove cerchiamo di fare cultura fotografica. Sul mio sito di fotografo troverete poi i lavori. Mi occupo del mondo web, non faccio il programmatore o il webmaster per lo stesso motivo di sopra. Da oltre vent’anni mi permette di lavorare e gestire i miei clienti un po’ ovunque. Poi vari lavoretti e attività più o meno redditizie che però mi piace tanto fare, come cucinare e chiacchierare con le persone.
Rispondere sul chi sono è parecchio difficile. Posso identificare me stesso con delle caratteristiche caratteriali. Posso identificarmi sul come mi rapporto con gli altri. Ognuno di voi che mi conosce ha una sua idea sul chi sono e sono sicuro che sia completamente diversa sia dalla mia, che dalle altre persone. Chi sono è la domanda delle domande e la ricerca della risposta occupa tutta la vita. Probabilmente non ne basta una.